FACCHINI

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Facchini è tra le opere santanelliane quella che più delle altre sembra rispondere all’esigenza di un teatro più astratto, un teatro europeo che opera una stilizzazione dei personaggi. Santanelli afferma di essere molto legato a questa commedia, ambientata nel vuoto, in cui l’assenza di relazioni, di punti di riferimento quotidiani, mostra perfettamente l’estrema conflittualità dei personaggi. Egli ha di mira il malessere, il graduale allontanamento dalla realtà, vissuta come ostile e minacciosa da personaggi, vittime di una solitudine e di un delirio via via più frenetico.
Siamo in un albergo in disarmo, un albergo che sembra essere collocato in un deserto e l’azione viene portata avanti da tre personaggi, due bizzarri facchini che si contendono un lavoro che non c’è per assenza di clienti e un direttore che sulla falsariga dei direttori dei circhi equestri, pretende da loro che siano sempre in esercizio, in allenamento, fino a fingere che l’hotel sia pieno di clienti. In realtà, si attende qualcuno che, in effetti giunge alla fine del primo tempo: una principessa polacca di cui il direttore è follemente innamorato. Lei è una donna misteriosa, un angelo della morte che ricalca il modello delle dark lady di Hollywood, ma con una connotazione specifica: mancata aspirante suicida con molti fallimenti alle spalle, ha scoperto il suo vero talento, che è quello di essere un’ottima istigatrice al suicidio. Va quindi girando per il mondo convincendo la gente a togliersi il vizio di vivere.
Il teatro di Santanelli può essere definito, da questo punto di vista, teatro della crudeltà, ma anche teatro della minaccia, perché, in effetti, sulla scena aleggia una continua minaccia tra i personaggi che cercano continuamente una via per esprimersi. In questo caso l’attesa da parte del direttore per l’arrivo di questa principessa è vissuta come un presagio di prossima e certa sventura, una minaccia incombente.
La storia vedrà l’affascinante polacca, elemento dominante della storia, che coglie quasi per intero il successo che si era prefissata, con la morte finale del direttore che si uccide per amore e di un facchino, Gezio, interiorità contorta e ossessionata che sceglie la morte come gesto estremo per mettere fine al suo mal di vivere. Santanelli cela la sorte dell’ultimo facchino, Antimo, animo fanciullesco e povero di spirito, apparentemente l’anello più debole della catena, che va incontro ad un destino che probabilmente gli sarà fatale, scomparendo tra i bagliori dei fuochi d’artificio e ipotizzando soltanto il suo suicidio. Fulcro di questa commedia nera, dunque, è, ancora una volta, il personaggio femminile nel quale può essere intravisto quello che Roland Barthes chiama l’amore distruttivo, che si appaga solo nella consumazione dell’altro. Tutto ruota intorno alla figura femminile; nelle opere di Manlio Santanelli, presente o assente che sia sulla scena, ella rende oscuro e minaccioso l’amore e il sesso, la religione e la vita.

 

 

10.0015.00 IVA esclusa

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Personaggi:   3 uomini – 1 donna

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